Un nuovo mix per una transizione energetica sicura: intervista a Davide Chiaroni, Energy & Strategy PoliMi

06-06-2023 | STORIE

“Traguardare la decarbonizzazione al 2050 è un obiettivo più che auspicabile, ma per arrivarci abbiamo ancora bisogno del gas come combustibile di transizione”, ci racconta Davide Chiaroni, Vice direttore di Energy & Strategy, il team di ricerca del Politecnico di Milano dedicato a comprendere i trend in tema di sostenibilità e transizione energetica, che possono rivelarsi determinanti nell’acquisizione di un vantaggio competitivo.  

Ma quali solo le ragioni per le quali il gas assume oggi un ruolo così cruciale? E come è possibile gestire la fornitura in una fase geopolitica particolarmente complessa, che ha visto l’Italia e l’Europa ridurre drasticamente l’acquisto di gas dal nostro fornitore storico? 

Il gas è un combustibile fondamentale nella transizione ecologica per almeno due ragioni: da una parte, non disponiamo a livello italiano ed europeo di una capacità rinnovabile installata oggi sufficiente per rispondere alle esigenze di cittadini e settori produttivi; dall’altra, bisogna considerare che le rinnovabili non sono programmabili come le fonti fossili, dipendendo dal tempo atmosferico ed è quindi necessario, in attesa dello sviluppo di adeguati e diffusi sistemi di storage, avere una alternativa per garantire la stabilità dell’approvvigionamento e di sostegno al fabbisogno energetico 

Bisogna anche aggiungere, a proposito dell’approvvigionamento di gas nel nostro paese, che per troppo tempo abbiamo ridotto la diversificazione delle nostre fonti fossili a causa delle condizioni tutto sommato molto favorevoli che ci venivano offerte dal nostro principale fornitore, la Russia. Come sappiamo, la sua affidabilità è stata messa in dubbio dopo i recenti eventi bellici, e siamo stati giocoforza costretti ad aprirci ad altri fornitori, come ad esempio l’Algeria, con i quali siamo stati in grado di realizzare accordi in tempi molto ristretti. È certo vero che anche molti di questi Paesi non sono propriamente “culle della democrazia”, ma quattro fornitori che colmano il 10% del nostro fabbisogno sono meglio di un unico fornitore che da solo copre il 40%.  

Aver messo a punto questo tipo di diversificazione è stato sicuramente uno dei risultati più importanti. Anche avere attrezzato, pur con qualche difficoltà, i rigassificatori, potenziando anche questa capacità, in qualche modo ci aiuta a muoverci nella direzione corretta e ci apre a prospettive di sfruttamento del GNL. 

Approfondiamo un po’ il tema del mix energetico. Qual è il rapporto ideale per sostenere il nostro fabbisogno energetico nazionale?  

Il mix ideale è quello che ci permette di incrementare la componente di rinnovabili, soprattutto fotovoltaico ed eolico, e di utilizzare il gas almeno fino al 2030 come combustibile fossile di transizione e, nel passaggio 2040-2050, a lavorare in maniera più significativa con l’idrogeno. In prima battuta potrebbe essere idrogeno blu da gas – quindi creato utilizzando fonti fossili per alimentare la reazione chimica di creazione di H2 – per poi passare all’idrogeno verde, generato da processi elettrolitici alimentati anch’essi da fonti rinnovabili.  

La produzione di idrogeno da rinnovabili, d’altronde, prevede l’utilizzo di fonti di energia alternative che riporta il problema alla nostra capacità di installazione, e non potrà essere compiuta prima di alcuni anni.  

Non ho citato il nucleare perché  è un tema politicamente molto delicato. Sebbene “tecnicamente” abbia il potenziale per rientrare in un ragionamento di mix energetico, bisogna distinguere i casi dove già è presente, come in Francia, e dove addirittura è ipotizzato al servizio anche della produzione di idrogeno, ed altri Paesi, come l’Italia, dove questa fonte non è presente. Da noi ritengo altamente improbabile che il nucleare venga utilizzato nell’orizzonte 2030 e probabilmente non avremmo i tempi tecnici (soprattutto di scelta dei siti e autorizzativi) per avere un contributo di qualche rilievo anche nel 2050.  

“Il mix ideale è quello che ci permette di incrementare la componente di rinnovabili, soprattutto fotovoltaico ed eolico, ma che considera anche di utilizzare il gas almeno fino al 2030 come combustibile fossile di transizione. Sono convinto che modelli come quello di Energy Park siano vincenti”. 

Davide Chiaroni, Vice direttore di Energy & Strategy del Politecnico di Milano 

A proposito di mix energetico, EP Produzione ha recentemente proposto per la centrale di Fiume Santo un progetto, denominata Energy Park, che prevede l’utilizzo integrato di energia rinnovabile (fotovoltaico onshore e offshore, batterie, idrogeno e biomasse) e a basso impatto ambientale (gas naturale). Può essere un modello per affrontare la transizione?  

Sono convinto che i modelli come Energy Park siano quelli vincenti, per due ragioni: la prima è che bilanciare fonti programmabili con fonti che sfruttino le disponibilità locali (es. biomasse) è la soluzione energeticamente e economicamente più efficiente per far funzionare il sistema. Se vogliamo è un po’ il concetto che l’Europa sta provando a far passare ragionando in termini di comunità energetiche, formate da tanti piccoli nodi che attivano processi di ottimizzazione, bilanciati a livello più alto. In una rete davvero “smart”, i singoli nodi cercano di ottimizzare la produzione senza impegnare la rete, mentre la rete funge da camera di compensazione oraria/giornaliera. È un cambio importante di paradigma ma è la direzione verso cui dobbiamo andare.  

Noi abbiamo zone ad elevato consumo dove però è più difficile installare rinnovabili di potenza, e zone a basso consumo in cui è più facile. È quindi necessario ragionare sulla connessione delle infrastrutture. Allo stesso tempo però è possibile avere aree locali in cui il consumo si può bilanciare: nei singoli nodi del nord e nelle singole aree del sud si può intervenire per ottimizzare in base alla capacità locale di generare e consumare energia. Abbiamo bisogno di un piano energetico che sia legato alle potenzialità locali, sfruttando le risorse a disposizione: pensiamo ad esempio alla geotermia in aree urbane del nord Italia, dove sono meno le ore di sole per alimentare il fotovoltaico.  

Una nota sul finanziamento della transizione energetica: i fondi del PNRR ci aiuteranno? O dove è possibile trovare le risorse per gli investimenti?  

Io credo che ci siano oggi due grandi ingredienti di investimento: da un lato la finanza e l’attenzione ai criteri ESG, che attira molti investimenti soprattutto quando i progetti di transizione evidenziano i fondamentali economici giusti per coinvolgere i fondi privati. Dall’altro lato c’è una disponibilità di tecnologie efficienti molto elevata sul mercato. A mio avviso gli strumenti pubblici devono limitarsi ad accelerare il processo di trasformazione. Il PNRR per certi versi è un acceleratore che su alcune scelte, come le comunità energetiche, ha individuato correttamente le aree dove il mercato aveva bisogno di strumenti di incentivazione.  

Il limite, dal mio punto di vista, non è tanto sulle risorse quanto sul processo autorizzativo, dal governo centrale a quello locale. Semplificare le procedure amministrative è fondamentale per permettere all’accelerazione indotta dal PNRR di raggiungere gli obiettivi prefissati 

Qual è il rapporto tra transizione energetica e digitalizzazione?  

Io dico spesso che la transizione energetica non si fa senza la digitalizzazione. Ed anche qui le ragioni possono essere semplificate a due. Come prima cosa l’infrastruttura: la generazione distribuita richiedere infrastrutture evolute, facili da controllare e in grado di elaborare dati in modo veloce, affidabili, controllabili da remoto, adattabili e flessibili, che necessitano di un sistema di connessione digitale tra mezzi di produzione e rete.  

C’è un altro tema: dobbiamo far crescere il livello di digitalizzazione dei consumi. Pensiamo alle auto elettriche, che sono sistemi di storage su ruote e potrebbero diventare elementi centrali del sistema elettrico in grado di scambiare energia in caso di bisogno. Come utente posso essere d’accordo nel cedere energia dalla mia auto purché, quando ci risalgo, la possa ancora utilizzare, ritrovando condizioni di carica migliori rispetto a quelle di partenza. Allo stato attuale però questo è ancora presente solo a livello embrionale. Lo stesso discorso può essere esteso alle comunità energetiche in generale, che devono diventare sistemi di produzione e cessione di energia elettrica in due direzioni. È ovvio che un sistema del genere deve per forza di cose essere gestito da un’intelligenza artificiale che permetta di adattare e modificare i consumi in modo più efficiente.  

Più sono i sistemi connessi, più questa transizione ci permetterà di ottenere dei vantaggi economici. E, a mio avviso, saranno proprio i vantaggi economici a spingere le persone a muoversi e a lavorare nell’ottica di supportare la transizione.